Spesso si parla di mercificazione della donna all’interno della comunicazione di massa: la pubblicità ci ha abituato a donne belle, seducenti, sexy, o massaie docili, gentili e affettuose o, ancora, a valchirie aggressive e predatorie (con intento spesso provocatorio). Di contro, gli uomini sono belli, forti, sportivi, di successo, che proteggono, apprezzano, vincono oppure sono oggetto di derisione e mistificazione in un’iperbole che concentra tutti i clichè.
La comunicazione di massa mal si adatta all’enunciazione delle sfaccettature individuali e spesso tende a reiterare messaggi codificati piuttosto che innovare.
La quasi totalità dei prodotti infatti viene comunicata (e concepita) in una logica di segmentazione del mercato, insistendo e perpetuando una differenziazione di genere (perlopiù dualistica) che invoca un’identità di genere precisa, configurando un immaginario che pesca nell’iconografia stereotipata di mascolinità e femminilità.
Senza ambire all’esaustività di un trattato sociologico, in questo articolo esploreremo l’universo del ‘maschile’ e cercheremo di cogliere alcune suggestioni che emergono dall’analisi di brand che hanno utilizzato il branded entertainment in un contesto più ampio di comunicazione di marca, verificando se alcuni cliché vengono perpetuati o risolti in questa nuova forma.
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