The Reason Wow: i nuovi brand tra impegno sociale e capacità di emozionare

Dal discorso del Presidente Laura Corbetta all’OBE Summit tenutosi in data 30/06/2020.

Quest’anno, il titolo del nostro Summit è The Reason Wow: un gioco di parole, quasi un ossimoro concettuale. Un titolo deciso già l’autunno scorso, ben prima dell’emergenza sanitaria e che durante i mesi di lockdown abbiamo più volte messo in discussione, chiedendoci se non fosse il caso di cambiarlo.
In alcuni momenti, parlare di effetto WOW ci sembrava inopportuno, quasi fuori luogo; ma in realtà il Covid, in questi tre mesi di tempo sospeso, ci ha insegnato tantissime cose.

La prima cosa è che il 2020 ce lo ricorderemo per sempre. Sicuramente sarà un evento che racconteremo ai nostri nipoti perché mai finora era accaduto che l’intero pianeta andasse così imprevedibilmente, così rapidamente e così drammaticamente in lockdown. E anche oggi, in queste prove di “new normal”, ancora non sappiamo bene cosa accadrà per davvero, né cosa ci riserverà il futuro.

Solo di una cosa siamo certi. Il virus, paradossalmente, ci ha insegnato la responsabilità e il coraggio. Credo che siano stati mesi importanti in cui ognuno di noi ha avuto quasi il dovere di reagire, di rinascere e di contribuire anche personalmente alla costruzione di un “nuovo” mondo più inclusivo, più solidale, più sostenibile. E questo, d’ora in avanti, ci riguarda tutti, come persone, professionisti, collettività, imprenditori e imprese.

Mai come in questi mesi abbiamo messo a fuoco che lo Stato e i Governi esistono concretamente e che troppo spesso, se non sempre, ciò che diamo per scontato – istruzione, infrastrutture, sanità – rende possibile il mondo nel quale viviamo, compreso quello economico e della comunicazione.

Lo stesso Bill Gates, seppur convinto sostenitore del capitalismo, è il primo a riconoscere che in una pandemia i mercati non funzionano nel migliore dei modi, come ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera.

D’altra parte, la pandemia ci ha anche mostrato, con grande chiarezza, che il ruolo delle aziende nella contemporaneità sta rapidamente cambiando, cambia perché cambiano i consumatori, e in questo circolo virtuoso ci si rende sempre più conto che non è più tanto il singolo prodotto o servizio che bisogna raccontare e comunicare, ma che oggi le nuove aziende si costruiscono attorno a culture d’impresa che diventano fattore essenziale di competitività.

È un po’ quello che sta accadendo quando la cultura del Purpose non rimane più un assunto teorico, ma acquisisce un ruolo centrale nella gestione dell’azienda e l’impatto sociale e ambientale diventano motore essenziale di crescita, ecco che lì i brand possono davvero contribuire a cambiare il mondo.

“Non c’è estetica senza etica” hanno dichiarato Alessandro Micheli e Gianluca Bizzarri di Gucci, presentando il nuovo progetto di sostenibilità “Gucci Equilibrium”, basato su pianeta e persone.
Questa mattina sul Corriere si parla dell’amministratore delegato di L’Oréal che ha lanciato un piano al 2030 nel quale il 100% della plastica sarà riciclato o di provenienza naturale, il 95% degli ingredienti saranno di origine naturale, raggiungeranno un impatto ambientale pari a zero carbon neutral entro il 2025, 50 milioni dedicati alla sharing economy, 50 milioni alla tutela degli ambienti, 50 milioni alle donne in difficoltà.
Vi ricordo che nel 2019 -vedremo poi i dati del 2020- ancora 37mila donne hanno dovuto dimettersi a causa della maternità, perché le aziende non hanno avuto pratiche positive nei loro confronti.

È la stessa cosa che capita quando parliamo del “Together we must”, quando il CEO di Coca Cola, James Quincey, a valle dell’omicidio di George Floyd a Minneapolis, riunisce i suoi dipendenti in un discorso che poi diventerà pubblico e dice:
“Businesses like ours can play an important role. As a company that believes diversity and inclusion are among our greatest strengths, we must put our resources and energy toward helping end the cycle of systemic racism.”

Le aziende non possono più tacere, è un loro dovere fare qualcosa per cambiare quello che sta accadendo. Ed è quello che sta accadendo in questi giorni con il progetto “We’re in. We’re Out @Facebook” di The North Face nella campagna #StopHateForProfit, il cui fondatore già da anni lavorava attivamente, assieme alla moglie Kris Tompinks (ex CEO di Patagonia), al recupero di vaste aree naturali in Chile e Argentina con l’obiettivo di riportarli allo stato selvaggio.

Quello che sta accadendo intorno a noi è una svolta epocale, dove sempre di più i brand giocheranno un ruolo centrale, non che vada a sostituirsi alla politica e alla società, ma sarà un ruolo di grandissima importanza.

Ed è questo il titolo del nostro Summit – The Reason Wow – che prova a far sintesi: da un lato tra Why, ne parlavamo già nel 2018 quando Simon Sinek nel Golden Circle disse: “La gente non compra quello che fai; compra il perché lo fai. E quello che fai dimostra semplicemente ciò in cui credi”. Quindi diciamo il senso di quel Why, che chiaramente afferisce al mondo dell’azienda, ma anche il Wow, che è la capacità di stupire, intrattenere, emozionare; grazie a “narrazioni” in grado di appassionare le proprie audience.
Nell’intrattenimento la cosa molto particolare è che il pubblico riveste un ruolo fondamentale, che sia attivo o passivo, ma è il pubblico che decide se una cosa funziona, ha senso oppure non lo ha.

In questo scenario, il Branded Entertainment si configura sempre di più come una leva di comunicazione attuale e vincente per la strategia di comunicazione di quelle aziende che, grazie alla valenza culturale, sociale e iconica dei loro brand, vogliono davvero, come dice il CEO di Coca Cola: “ascoltare, imparare e agire” per il bene comune.

Aziende che hanno storie di valore da raccontare e che nell’entertainment trovano una forma di comunicazione facile, comprensibile, popolare, in grado di stabilire connessioni di empatia e di reciprocità. Naturalmente il branded entertainment si porta dietro una grande capacità di contaminazione dei generi, dei formati e delle modalità di distribuzione sempre più integrate e transmediali.

Storie di valore che acquistano significato tanto più vengono conosciute, condivise e reiterate dai pubblici che le fruiscono. Questo è un tema fondamentale ed è la sfida che OBE vuole lanciare in questo secondo obiettivo.
Il primo obiettivo era dare un perimetro definitorio al Branded Entertainment e abbiamo fatto un lavoro di ricerca e scritto un interessante libro in collaborazione con il Ce.r.TA dell’Università Cattolica.

A mio avviso la seconda sfida è quella di pensare al Branded Entertainment per le aziende come a una grande opportunità strategica e di business che passi attraverso l’idea che la progettazione o l’adattamento di contenuti di alto valore, possa creare dimensioni sia valoriali che economiche estremamente interessanti. Ad oggi ancora non pensiamo che i contenuti possano diventare degli intangible asset, quasi patrimoniali per le aziende, che in realtà possano guidare business intelligence, o business integration, o opportunità di fare media optimization.
Quindi oggi attorno a quelle storie che le aziende hanno da raccontare possiamo andare a costruire mondi ancora più significativi, non solo dal punto di vista valoriale, ma anche economico.

In questi anni in OBE ho imparato cosa voglia dire stare in un’associazione, ascoltare gli altri, praticare l’arte della negoziazione, imparare a fare un passo indietro; l’associazione mi ha aiutato a crescere dal punto di vista personale, professionale e della consapevolezza.

Penso che per tutti noi questo sia un momento di grande consapevolezza e credo che momenti come questi servano davvero a definire un “next”, del quale siamo tutti dobbiamo sentirci responsabili, in cui  fare tesoro di quanto imparato in questi mesi, per essere davvero un agente di cambiamento domani.”

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