THE APPRENTICE Vs UNDERCOVER BOSS Quando il format è intrinsecamente branded

Si è concluso l’esperimento di Rai2 con risultati che spingono l’emittente a riconfermare per la prossima stagione altre 8 puntate di Boss in incognito, la ‘traduzione’ del format americano giunto ormai alla 5° stagione che Arianna Huffington ha definito come il programma ‘più sovversivo della televisione’
Una scelta combattuta in seno alla RAI , il format creato da Studio Lambert è rimasto infatti a lungo opzionato da Endemol prima che il servizio pubblico si convincesse ad acquisirlo: “Il sistema televisivo italiano non permette rivoluzioni – confida Angelo Teodoli, direttore di rete. Si procede per gradi, è difficile affermare cose nuove, per innovare bisogna scegliere prodotti giusti e crederci, superando anche le difficoltà iniziali”.

A confronto con l’originale, la versione nostrana risulta più edulcorata, quasi buonista; spiega Teodoli: “Boss in incognito nasce per far incontrare due mondi separati e distanti, riportando sotto una luce reale il rapporto tra imprenditori e lavoratori: lo fa in modo delicato ma manche incisivo. E’ un programma diverso, racconta la realtà in un’ottica costruttiva e di miglioramento dei rapporti tra top e base”.
Per questo forse Costantino della Gherardesca, conduttore del programma, si definisce come “l’anti Briatore, l’opposto di The apprentice”. “Un programma che fa uscire la parola ‘catarsi’ e che è l’anti The Apprentice da un punto di vista ideologico – commenta Della Gherardesca. La mente geniale di Stephen Lambert, dietro al programma commerciale, ha puntato a una vera e propria agenda politica di welfare”.
Si, perché di programma commerciale si tratta comunque; ed arriviamo al punto: Rai2 è stata la prima rete generalista i chiaro a programmare un format nativamente branded. Spiegamoci: per format nativamente branded intendiamo quelle idee di programma che intrinsecamente costruiscono la propria testualià attraverso la narrazione di realtà aziendali garantendone un’ampia visibilità e un’esplicitazione dei valori identitari, senza mai apparire fuori luogo. Cosa succederebbe se al posto di 4 dirigenti di altrettante aziende ci fossero stati 4 Boss fittizzi, a capo di 4 società inventate? A parte la gestione dei costi di produzione – che a detta dello stesso Marco Bassetti, AD di Endemol, sono stati molto contenuti per realizzare l’edizione italiana del format – l’inserimento di realtà imprenditoriali esistenti conferisce verosimiglianza al racconto stabilendo un patto di fiducia con il telespettatore che, immerso nell’espediente narrativo, si fa trasportare all’interno dei valori del marchio esibiti. Altrettanto succede per The Apprentice, format originario statunitense creato da Mark Burnett, in Italia prodotto da Fremantle Media e in onda su Sky Uno, dove l’autorevolezza e la celebrità del BOSS Flavio Briatore (impersonato negli USA dal magnate Donald Trump) trasferiscono prestigio alle aziende selezionate per mettere alla prova i candidati.
Chi ha colto appieno il valore dell’associazione è stato QVC, un canale retail multimediale e innovativo per la vendita di prodotti, il più grande canale di shopping del mondo, il secondo canale televisivo americano per dimensioni, fondato nel 1986 da Joseph Segel, che ha intuito le potenzialità di successo di un canale shopping incentrato su tre principi (Quality, Value, Convenience) e un punto cardine: il cliente al centro di tutto.
Operativo nel Bel Paese dal 2010, QVC Italia conta oggi più di 600 impiegati.
Nel 2012, all’esordio italiano di The Apprentice, QVC fu protagonista di una puntata dello show, e quest’anno l’amministratore delegato Paolo Penati è diventato per una settimana Boss In Incognito.

Abbiamo intervistato Matteo Pozzuoli, Marketing Manager di QVC Italia.

Quando avete deciso di partecipare a The Apprentice, quali erano gli obiettivi strategici di comunicazione sottesi alla partecipazione a questo talent show?
QVC è innanzitutto una human company e quindi uno human brand. I nostri Clienti sono al centro di tutta la nostra attenzione e di tutta la nostra passione. E con loro, per noi è fondamentale costruire una relazione vera, autentica, presente e all’interno della quale, l’acquisto, la transazione economica diventano un “effetto collaterale”, una conseguenza di questo rapporto.
Gli obiettivi strategici, oltre a quello di costruire brand awareness, erano e sono ancora oggi principalmente legati a (di)mostrare all’esterno quanto sia diversa QVC in questo senso.
La relazione, intensa, personale, trasparente è ciò che guida da sempre le nostre decisioni di business, ed ciò che il gruppo di marketing ed e-commerce promuove con costanza.
Quali valori vedevate coincidenti tra il vs brand e il format The Apprentice?
The Apprentice è un format in cui l’impegno personale, il commitment e l’imprenditorialità si affiancano alla necessità di operare in squadra. È un format dove gli obiettivi personali contano quanto quelli del gruppo, anche se il migliore può sempre essere uno (ma questa è la storia del Mondo). In QVC condividiamo valori simili: per noi, il team work va a braccetto con lo spirito pioniere, l’orientamento all’eccellenza è indissolubile rispetto al lavorare divertendosi. I ragazzi di The Apprentice hanno potuto vivere da noi tutto questo per un giorno. E provare sulla loro pelle quanto “fare le cose nel modo QVC” sia sfidante.
Che ruolo ha giocato la scelta del broadcaster? (SKY UNO)
Il broadcaster è fondamentale. Chi conosce la comunicazione, sa perfettamente che il mezzo è tanto importante quanto il messaggio.
SKY è un grande partner e la collaborazione si è basta su una grande stima reciproca.
Eravate contemporaneamente in campagna con altri formati TV? e con altri mezzi? (web, affissioni, stampa etc.)?
Lo spazio dedicato a QVC, secondo episodio dell’ottava puntata del talent show, è stato accompagnato da un piano di comunicazione trans-mediatico che toccava diversi mezzi. Tuttavia – votati come siamo all’innovazione e alla sperimentazione – abbiamo fatto di più: abbiamo affiancato sul nostro canale un format inedito chiamato “Una serata speciale con the Apprentice” per continuare a seguire i candidati usciti dalla Board Room di The Apprentice in onda su Sky e vedendoli, dunque, rientrare sul set degli show in diretta di QVC. Una trama così attentamente costruita da rendere i ragazzi di The Apprentice veri coprotagonisti narrativi del nuovo contenitore in onda su QVC.
Una contaminazione di contenuti e linguaggi differenti che ci ha permesso di portare il crossover fuori dalla stessa rete. Possiamo affermare che abbiamo ridefinito i confini del fare tv, reinterpretando i contenuti di The Apprentice in uno spazio nuovo in cui due generi televisivi si sono incontrati, e rinnovati ai rispettivi telespettatori.
Qual è stato il rapporto negli investimenti con le altre attività di comunicazione (In percentuale)?
L’investimento è stato mediamente basso rispetto al totale del budget.
In che momento della ‘vita’ del vostro brand eravate quando avete stabilito questa partnership? c’erano degli obiettivi di marketing associati? (leading, sales etc.)
La puntata su QVC è andata in onda il 9 ottobre 2012, 9 giorni dopo il nostro secondo anniversario (1 ottobre 2012). Eravamo e siamo ancora un’azienda giovane. Certamente due anni fa, a differenza di oggi, eravamo fortemente immersi nella fase di start-up.
Come avete ‘intercettato’ questa opportunità? (il contatto lo avete creato voi con SkY Advertising? oppure Fremantle Media vi ha contattato? o altro…)
QVC è un grande broadcaster internazionale. E come tale, nel suo ingresso in Italia, ha attratto diverse figure di spicco nel mondo degli editori televisivi. Oltre a garantire una grande professionalità al proprio interno, questo fattore ha permesso a QVC di coltivare forti e durature relazioni, aprendosi così a diverse possibilità di diversificare i propri investimenti.
Quali sono stati i risultati? (la puntata del 9 ottobre ha ottenuto un ascolto medio pari a 321.000 telespettatori per una share del 1,32%)
In QVC abbiamo una grande attenzione alla misurazione di tutte le attività che realizziamo. È un elemento che è parte integrante della nostra cultura, del nostro DNA. Abbiamo dunque misurato anche questa attività registrando degli impatti a livello di brand e a livello di performance di vendite.
Dopo un anno circa avete deciso di investire in un altro format, simile a quello di Fremantle, con Endemol. Di nuovo: come avete ‘intercettato’ questa possibilità? (il contatto lo avete creato voi con Rai? oppure Endemol vi ha contattato? o altro…)
Per Undercover Boss siamo stati contattati dai produttori del programma e subito abbiamo capito il potenziale dell’operazione.
Ad un anno da quella esperienza, in che momento della ‘vita’ del vostro brand eravate quando avete stabilito questa partnership?
Oggi QVC sta lasciando la fase della start-up ed entrando rapidamente in una fase di consolidamento del proprio business.
Sono cambiati gli obiettivi strategici di comunicazione sottesi alla partecipazione a questo show?
Dal punto di vista strategico, gli obiettivi non sono stati drammaticamente modificati. Il branded entertainment rappresenta sempre di più il futuro della comunicazione di marca QVC perché, a differenza di altre modalità, ci consente di mostrare il cuore del brand, la sua essenza che – in ultima istanza – è rappresentata dalla relazione con i nostri clienti.
Quali valori vedevate coincidenti tra il vs brand e il format Undercover Boss?
Credo che la risposta in questo caso sia quanto di più semplice e complesso allo stesso tempo: la trasparenza. Quello che i telespettatori hanno potuto vedere in onda è QVC, unica, vera, autentica.
Questo di Endemol esprimeva dei valori diversi rispetto al format di Fremantle?
Certamente sì. I due format sono per natura differenti: divergono nel linguaggio, nel target, nell’obiettivo. Tuttavia, per noi, è stata un’occasione per mostrare aspetti differenti dei nostri valori, in modo coerente, completo e immersivo.
Nelle vostre intenzioni cosa volevate sottolineare rispetto alla vostra brand equity?
Il branded entertainment rappresenterà sempre di più il futuro della comunicazione di marca QVC perché permette alla nostra azienda di sottolineare aspetti peculiari del nostro modo unico e speciale di fare le cose. Di mettere in luce le nostre differenze.
Che ruolo ha giocato la scelta del broadcaster? (RAI DUE)
Come detto poco sopra, il broadcaster è fondamentale. Condividiamo con RAI, e con la sua seconda rete in particolare, la voglia di sperimentare e di metterci in gioco, in modo trasparente.
Eravate contemporaneamente in campagna con altri formati TV? e con altri mezzi? (web, affissioni, stampa etc.)?
Come sempre, abbiamo ragionato in termini trans- mediatici cercando di costruire un piano di comunicazione ricco e articolato. In questo caso specifico, grande attenzione è stata posta sui social media e su Twitter in particolare, costruendo un piano specifico.
Quali sono stati i risultati? (la puntata del 10 febbraio 2014 ha ottenuto un ascolto medio pari a 1.969.000 spettatori, per una share del 6,61%, poco al di sotto della media di rete e dell’obiettivo)
Certamente abbiamo riscontrato dei risultati sui nostri KPIs. Tuttavia, il risultato più grande, crediamo che siano le centinaia di migliaia di messaggi, email, post che QVC come azienda e Paolo Penati come Boss in incognito hanno ricevuto in seguito alla messa in onda della puntata. QVC è un’azienda diversa, unica e le persone se ne sono accorte.

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