Buongiorno!
Sono davvero contenta di vedervi così tanti, qui, oggi, in Fondazione Feltrinelli, e così tanti connessi da remoto per questo OBE Summit 2022.
Un evento ormai entrato nell’agenda della comunicazione italiana, a riprova del grande lavoro fatto in questi ultimi anni dall’Osservatorio in ricerca, formazione e divulgazione.
Il programma della giornata è ricco di appuntamenti dedicati a raccontare lo stato dell’arte e le principali linee evolutive del branded entertainment con i protagonisti del mercato e a riflettere sul crescente impatto positivo di questa leva di comunicazione su business, cultura e società.
Il branded entertainment non è più solo un prodotto di comunicazione (come lo spot tv o radio, la sponsorizzazione, ecc.) ma ormai costituisce un vero e proprio framework strategico per tutti quei brand che vogliono parlare alle proprie audience consapevoli di dover competere sul “mercato” dell’attenzione e della reputazione, al pari dell’intrattenimento, dell’informazione, dello sport, della musica e di tutti quei contenuti che, quotidianamente, alimentano i nostri feed.
Palinsesti personali, cross media, in cui scegliere liberamente cosa guardare, sempre più insofferenti all’interruzione “imposta” dell’advertising tradizionale.
Competere per l’attenzione delle persone…
Siamo sempre abituati a guardare alle persone come target, consumatori, clienti e come pubblico.
Poco invece parliamo delle nostre “persone” dell’industria creativa, di quel capitale umano che, quotidianamente, lavora e si impegna attivamente all’interno delle aziende mettendo a disposizione la propria intelligenza, la creatività, il saper fare, la capacità di relazionarsi, collaborare e condividere.
Persone motivate dall’ambizione di innovare e sviluppare strategie di valore; ideare e realizzare progetti ed esperienze uniche; selezionare e formare i talenti migliori, trovare le risorse necessarie ma, anche, capaci di far accadere le cose…
Dopo oltre due anni di pandemia e un 2022 così incerto, voglio dedicare una riflessione alle “persone” del nostro settore in un momento di così grande accelerazione e cambiamento culturale e sociale, che non si ferma davanti a nulla… La scorsa settimana ho chiamato il call center di una compagnia aerea che rispondeva dall’Ucraina e mentre parlavo con questa ragazza mi sono chiesta in quale città vivesse, come stesse la sua famiglia, i suoi cari, se sentisse di notte i bombardamenti…
Persone che, mai come in questi mesi, stanno vivendo sulla propria pelle la radicale trasformazione di alcuni dei valori portanti della nostra cultura del lavoro come la carriera, l’affermazione professionale, l’ambizione economica, il posto fisso… e che ora iniziano a mettere davanti a tutto questo la qualità della vita, la flessibilità negli orari, la libertà di lavorare da remoto… forse la felicità!
Negli Stati Uniti, la «Great Resignation» sta diventando un fenomeno dirompente che mette a dura prova economisti, imprenditori e CEO, rischiando di travolgere intere aziende.
Secondo uno studio McKinsey, il 40% dei lavoratori a livello internazionale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi 4-6 mesi, abbandonare la propria carriera o avviare un’attività autonoma; di questi, circa il 36% si è licenziato senza avere ancora in mano un nuovo lavoro.
Le fasce di età più interessate sono quelle più giovani: Generazione Z (33%) e Millennial (25%) in base ai dati dell’IBM Institute for Business Value.
Al fenomeno della quitting economy, si aggiunge un altro elemento critico a elevato impatto: il fear factor, ovvero, la crescente paura da parte delle persone nei confronti dell’innovazione, attività che richiede scommesse audaci a fronte di risultati incerti e volontà di perseverare nonostante battute d’arresto, critiche e insicurezza.
Le ricerche evidenziano infatti che la paura del fallimento, il giudizio negativo degli altri e l’impatto sulla carriera impediscono a molte persone di abbracciare l’innovazione come valore di riferimento del proprio lavoro.
Paura, ansia e frustrazione sono così diventate emozioni che i dipendenti maggiormente associano all’innovazione mentre gioia, ispirazione e coraggio sono tra le ultime, soprattutto in quelle aziende che registrano una scarsa attitudine all’innovazione.
Questi temi, assieme a molti altri – salari sempre più elevati e benefit rilevanti per acquisire e trattenere talenti, necessità di nuove leadership per nuovi modelli organizzativi ma, anche, scenari economici ancora profondamente instabili – rendono il presente di chi lavora emotivamente faticoso, frammentato e percorso da linee evolutive ancora difficili da decodificare.
In questo contesto, è importante tener presente che, nell’industria della comunicazione, a essere in pericolo, è il nostro bene più prezioso: la capacità di creare… quella forma specifica del fare, che si caratterizza per la sua potenzialità generativa.
Il nostro compito come associazione, come aziende, come professionisti è favorire e supportare la creatività e l’innovazione come stella polare del nostro mercato, sviluppando una cultura in cui sia premiata la qualità dei progetti; sia consentito sperimentare, porre domande, accogliere la possibilità di sbagliare; incoraggiare il feedback come strumento di empowerment. In cui il senso di identità e appartenenza siano valori profondi e condivisi e la formazione un’opportunità permanente di crescita e sviluppo delle persone.
Dobbiamo avere cura delle nostre persone, aiutarle a guardare al futuro con fiducia, costruendo percorsi nuovi e nuove opportunità ma, soprattutto, supportando, da un lato, le generazioni più giovani già così provate da questi ultimi anni; dall’altro, quelle più adulte, spesso sopraffatte dalla trasformazione in atto.
Al tempo stesso, dobbiamo impegnarci a rendere davvero sostenibile il mercato della comunicazione – e del branded entertainment in particolare – attraverso la definizione di regole chiare e condivise di ingaggio, il riconoscimento e il rispetto delle competenze e il corretto dimensionamento economico delle attività.
Ai brand dico con forza: mai più gare con brief poco chiari, annullate a pochi giorni della consegna, con troppe agenzie coinvolte o budget inadeguati rispetto alle aspettative… perché costi per voi invisibili pesano sui bilanci di chi ci lavora; agli operatori del settore, con altrettanta chiarezza dico: rispettiamoci nelle reciproche competenze e collaboriamo assieme per garantire ai nostri brand il successo che meritano con strategie e idee di valore…
Come già avviene per altri settori di eccellenza – primi fra tutti il design e l’architettura – è arrivato il momento di creare un’alleanza, un vero e proprio movimento a supporto del talento e dell’industria creativa italiana, con l’obiettivo di accelerare uno sviluppo sano e virtuoso del mercato, scommettendo con sempre maggiore consapevolezza e determinazione sul nostro “capitale umano”.
Prima di lasciarvi, voglio ringraziare: Simonetta Consiglio, la nostra direttrice generale, fantastica e instancabile sintesi di pensiero strategico e capacità di mettere a terra tutte le attività di OBE, questo Summit compreso; Anna Vitiello, direttore scientifico dell’Osservatorio per il suo prezioso lavoro di ricerca, per aver dato vita all’Academy e, in particolare, al Master in Branded Content & Entertainment in collaborazione con UPA giunto, proprio settimana scorsa, alla conclusione della sua seconda edizione e già pronto ad accendere i motori per la terza; il Consiglio Direttivo per il costante e prezioso supporto allo sviluppo dell’Associazione.
Infine, il mio ringraziamento va a tutti gli Associati che hanno creduto in OBE e a tutte le aziende che, dopo questo Summit, avranno il desiderio di unirsi al nostro percorso.
Laura Corbetta,
Presidente OBE