Il 2020 del Branded Entertainment. Numeri, trend e best case nell’anno della pandemia globale

Alla fine dell’anno, si sa, è tempo di bilanci. E i bilanci si fanno a partire dai numeri.

Cominciamo quindi con il dare uno sguardo al Monitor OBE, il database proprietario che raccoglie tutti i principali casi di branded entertainment presentati sul mercato.

Nel 2020 OBE ha registrato e classificato 550 progetti, di cui 373 italiani e 177 internazionali.

Uno sguardo alle categorie merceologiche suggerisce che, ad avere un ruolo predominante (26,4% del totale progetti), è stato il settore del Food&Beverage, seguito dal Tech (11,1%) e dal No Profit/Istituzioni (9,4%), particolarmente prolifico, quest’ultimo, di progetti a basso budget produttivo e distributivo. Rispetto agli anni scorsi, si registra una diminuzione del numero dei progetti del comparto Automotive (6,8%), verosimilmente riconducibile all’emergenza sanitaria che ha frenato gli investimenti in comunicazione del settore.

Guardando solo all’Italia, più della metà dei progetti prevedono, esclusiva o affiancata ad altri mezzi, una distribuzione sul web, dove, a farla da padroni (48% del totale progetti digital) sono le piattaforme social più diffuse, Youtube, Facebook e Instagram, con TikTok che inizia ad affacciarsi come quarto soggetto. Resta comunque rilevante (35%) il ruolo delle testate editoriali on line e lo sfruttamento delle own properties dei brand, unito agli altri canali distributivi (24%).

La televisione mantiene un ruolo di primo piano, con 140 progetti individuati, di cui 18 programmi originali e 122 iniziative di brand integration suddivise tra 32 programmi.

Ma forse, più che attraverso i numeri, vale la pena guardare al 2020 in ottica qualitativa: provare a ripercorrere quello che è successo e tracciare una linea di demarcazione tra quello che è stato e quello che sarà, tra quello che è rimasto, quello che si è modificato, quello che abbiamo abbandonato e quello che è nato di nuovo e inatteso.

A marzo, già pochi giorni dopo il primo lockdown, le aziende hanno iniziato, consapevolmente o meno, a reinventare il proprio ruolo a livello comunicativo: è diventato chiaro e palese quello di cui tutti gli addetti ai lavori parlavano oramai da mesi: i brand sono attori sociali importanti, fanno parte della collettività, hanno un proprio vissuto storico e valoriale che li fa percepire dalle persone come soggetti reali, dai quali ci si aspetta un contributo, anche e soprattutto in caso di grave crisi. Il famigerato purpose del brand, laddove il legame con le necessità stringenti lo richieda, è emerso attraverso le azioni di solidarietà messe in campo, ma anche con i messaggi trasmessi o con la sola “presenza”.

La ricerca “La comunicazione di brand in tempo di crisi”, presentata a Giugno 2020 dall’Osservatorio Branded Entertainment, conferma come a trarre maggior beneficio in termini di ricordo, reputazione e trust, siano stati proprio quei brand che non hanno mai smesso di comunicare, mettendo in atto anche azioni concrete a beneficio della collettività (donazioni, riconversione della produzione, omaggi, etc.).
Guardando al Branded Entertainment, nel panorama italiano si incontrano esempi interessanti di contenuti prodotti dai brand proprio nei mesi del primo lockdown, per informare, educare o intrattenere un pubblico profondamente toccato dall’emergenza.

È il caso di Tema in classe, il progetto di Ohga per Napisan premiato anche al BCMA Global Lockdown Showcase: un video distribuito su web e social media per sensibilizzare alunni, genitori ed insegnanti ai comportamenti igienici più corretti da adottare nel far fronte all’emergenza Coronavirus. Della durata di 3’51”, il video racconta attraverso le voci dei bambini come sono cambiate le abitudini durante la pandemia trascorrendo molto più tempo in casa. In una sorta di “tema in classe”, si ripassa insieme alla maestra quali sono le regole da seguire, le precauzioni e le norme igieniche che andranno adottate e mantenute anche una volta fatto ritorno in classe. Insieme a questo video, il brand ha offerto anche una serie di contenuti ludico-didattici, per intrattenere i più piccoli e aiutare i genitori con la didattica a distanza, unitamente al supporto di professori e consulenti scientifici della Scuola di Specializzazione di Igiene e Medicina Preventiva del San Raffaele di Milano.

Altra iniziativa degna di nota e legata alle tematiche dell’emergenza sanitaria è Connessi, l’Italia riparte dal digitale, un progetto realizzato da The Show per celebrare il digitale e che è riuscito a trasmettere un grande senso di unità e comunità nei mesi di lockdown. Con la partecipazione di alcuni volti noti (The Jackal, Filippo Tortu, Bruno Barbieri, Marco Montemagno, Roberto Vecchioni e Fedez), i The Show hanno dato vita a un esperimento sociale: provare a instaurare una connessione umana tra due sconosciuti, a distanza, senza parlarsi ma solo guardandosi negli occhi per un minuto.

C’è anche chi ha saputo innestare il proprio racconto di brand nell’attualità, senza creare una nuova narrazione, ma amplificando un testimonial già importante. È il caso di Barilla che lo scorso agosto ha lanciato The Rooftop match with Roger Federer. Il progetto, realizzato in collaborazione con We Are Social e OMD, prende avvio da una delle tante storie quotidiane diventate virali durante il lockdown: Vittoria e Carola, due ragazze, entrambe giocatrici di tennis, amiche e vicine di casa, non si sono fatte fermare dalla situazione e, trasformando i tetti delle loro abitazioni confinanti in un campo da gioco, hanno continuato ad allenarsi e a giocare insieme.

Barilla, colpita dall’iniziativa e forte del suo brand ambassador Roger Federer, già da qualche tempo volto pubblicitario dell’azienda, ha deciso di sorprendere Vittoria e Carola su quegli stessi tetti. Nei giorni della ripartenza in Italia, l’azienda ha reso possibile un incontro speciale: le due ragazze, che si aspettavano soltanto di registrare una intervista sul loro video virale, hanno invece avuto l’opportunità di conoscere e giocare una partita di tennis con il loro idolo, proprio lì, sui tetti delle loro di Finale Ligure dove tutto è iniziato.

Un altro progetto lanciato nei mesi di lockdown, questa volta internazionale, e che vale la pena qui citare, è The whole working-from-home thing di Apple: caso rilevante, non solo perché bene interpreta il contesto mutato in cui le persone si trovano a vivere e lavorare, ma anche perché il brand ha avuto l’intelligenza di capitalizzare una storia già lanciata nel 2019 con il cortometraggio The Underdogs. Ritroviamo, infatti, gli stessi protagonisti, un gruppo di colleghi, alle prese con un nuovo progetto lavorativo da consegnare in pochi giorni, questa volta lavorando tutti da remoto, ognuno dalla propria casa.

Nedi quasi 7 minuti di video, Apple diverte e riesce, al contempo, a raccontare tutti i prodotti e servizi che mette a disposizione per svolgere il lavoro al meglio, anche da remoto. Ma non solo. Con questo secondo episodio, Apple crea un rimando coerente ed efficace con quanto lanciato un anno prima, dando di fatto vita a una serie, una property editoriale che può tornare utile anche per future narrazioni.

Il tema della creazione di properties e dell’orizzonte di medio/lungo periodo su cui investire in progetti di Branded Entertainment è centrale: tra le case history prese in esame, le più efficaci risultano sempre legate a progetti la cui narrazione temporale prosegue oltre il primo anno di programmazione, progetti su cui il brand investe e capitalizza. È ormai molto raro incontrare operazioni stand-alone e una tantum: i progetti vanno pensati come inseriti sempre di più all’interno di campagne di comunicazione transmediali (e non solo crossmediali) più ampie, e devono permettere di creare un valore editoriale che continui a vivere nel tempo.

Parlando di trend, impossibile non citare anche i due comparti della industry dell’entertainment che, già in crescita negli scorsi anni, nel 2020 sono letteralmente esplosi: gaming e podcast.

Nel primo caso, sempre più brand iniziano a sfruttare la propria presenza nei mondi virtuali per parlare con audience numericamente elevate. Il caso che ha fatto scuola nel 2020 è il concerto dal rapper Travis Scott “Astronomical” all’interno del videogioco Fortnite, nel quale è stata data, tra l’altro, visibilità al brand di abbigliamento del cantante, Cactus Jack, realizzato in collaborazione con Nike. Lo show virtuale, pensato come alternativa al tour di concerti che il rapper avrebbe dovuto tenere in giro per il mondo, è riuscito a raggiungere, in tutte le sue repliche, più di 12 milioni di utenti.

E, per il 2021, si prevede una ulteriore crescita del settore: le nuove reti 5G, la realtà virtuale, la realtà aumentata e, in generale, tutte le innovazioni tecnologiche in roadmap sono destinate a far aumentare il numero di consumatori interessati al gioco elettronico, una platea che, considerando i videogiocatori occasionali, già oggi conta quasi 3 miliardi di persone al mondo (17 milioni in Italia, soprattutto giovani tra gli 11 e i 24 anni).
Guardando, invece, al mondo del podcast, secondo gli ultimi dati IPSOS, le persone in Italia che dichiarano di aver ascoltato almeno un podcast nell’ultimo mese sono circa 8,5 milioni, il 30% della popolazione (nel 2019 erano il 26%). Ma il 2020, parlando di podcast, è stato anche l’anno che ha visto l’affermarsi definitivo dei progetti branded. Tante le categorie merceologiche che si sono affacciate in questo mondo: Food, Beverage, Automotive, Finance, Tech.

Per citare uno degli ultimi casi presentati sul mercato, BPER Banca ha lanciato a fine novembre Fornelli e Finanza, una serie podcast di 12 puntate da 7 minuti ciascuna in cui si alternano le voci e i racconti della professoressa Barbara Alemanni e dello chef stellato Giorgio Locatelli, per spiegare in maniera chiara ed esaustiva le complesse tematiche legate al Wealth Management.
Il lancio del podcast Fornelli e Finanza si inserisce in un più ampio piano di comunicazione del brand, con l’obiettivo di promuovere i servizi di Wealth Management di BPER Banca con la campagna di comunicazione integrata Fa per te, declinata su stampa nazionale, web magazine, display e social.

Non sono poi mancati i progetti di influencer marketing anche nel mondo del branded entertainment.

Tra quelli che hanno avuto maggiore eco c’è senza dubbio il progetto di Pantene con Chiara Ferragni e BabyK. Protagoniste del nuovo spot e di una campagna PR, entrambe hanno preso parte al videoclip della canzone scritta in esclusiva da BabyK per l’iniziativa e diventata hit dell’estate: “Non mi basta più”. Da sempre molto presente in comunicazione nel periodo estivo, tradizionalmente considerato come un periodo particolarmente delicato per la cura dei capelli, non è dunque un caso che, affacciandosi al mondo del branded entertainment, Pantene abbia scelto di essere protagonista di uno dei “tormentoni musicali” più attesi, sfruttando al meglio l’intreccio tra la sua testimonial, già a contratto, e la cantante.

Non sono poi mancati i progetti di influencer marketing anche nel mondo del branded entertainment.

Tra quelli che hanno avuto maggiore eco c’è senza dubbio il progetto di Pantene con Chiara Ferragni e BabyK. Protagoniste del nuovo spot e di una campagna PR, entrambe hanno preso parte al videoclip della canzone scritta in esclusiva da BabyK per l’iniziativa e diventata hit dell’estate: “Non mi basta più”. Da sempre molto presente in comunicazione nel periodo estivo, tradizionalmente considerato come un periodo particolarmente delicato per la cura dei capelli, non è dunque un caso che, affacciandosi al mondo del branded entertainment, Pantene abbia scelto di essere protagonista di uno dei “tormentoni musicali” più attesi, sfruttando al meglio l’intreccio tra la sua testimonial, già a contratto, e la cantante.

INFLUENCER MARKETING 

Una ricerca quali-quantitativa di Publicis Groupe, condotta tra gennaio e marzo 2020, ha dimostrato come l’Influencer Marketing sia ormai un mercato vicino alla maturità. Instagram rimane il social media preferito dai brand quando parliamo di Influencer Marketing (62%), seguito da Facebook (11%) e Youtube (9%). La platea di soggetti è molto frammentata: si va dai VIP con migliaia di follower (34%), ai Vertical, a chi, cioè, è specializzato in una tematica particolare (16%), dalle community (9%) ai cosiddetti micro-influencer (26%). Guardando ai settori merceologici, FMCG (39%), Beauty (24%) e Fashion/Luxury (16%) sono i tre comparti che più investono in questo mercato, che si attesta ormai sui 247 milioni di euro, circa l’8,3% del totale digital adv (dati riferiti a dicembre 2019). “L’analisi fatta dimostra come ad oggi il mezzo abbia tutte le carte in regola per superare brillantemente il 2020”, afferma Marco Sorrentino, Head of Content & Product Development. “Il futuro più probabile è una messa a fattor comune, con i brand, della vicinanza con gli utenti: gli influencer dovranno dimostrare di essere in grado di sfruttarla per garantire performance sempre più vicine alla vendita”

EDITORI E BRANDED CONTENT

Da un’indagine svolta da OBE su 186 progetti di Branded Content realizzati e pubblicati da parte di testate editoriali nel 2020, emerge innanzitutto come il settore sia ancora caratterizzato da una presenza considerevole (51%) di progetti riconducibili al modello del native advertising di stampo pubblicitario, con i brand in primo piano, protagonisti del contenuto e spesso richiamati già nel titolo. Solo nel 49% dei casi c’è invece un contenuto editoriale più forte, che vive al di là della presenza del brand.

Le categorie merceologiche più presenti risultano essere Health&beauty (19%), Food&beverage (14%), Technology (12%) e Fashion&clothes (10%).
Per quanto riguarda le tipologie di formato, si possono raggruppare in 4 gruppi principali: progetti video (19%), composti solo da uno o più elementi video; articoli (76%), sia nella forma di singolo articolo sia di insieme di più articoli dai formati diversi (reportage, long form, breve news); evento live (2%), trasmesso in diretta streaming o in differita su una pagina/properties di proprietà dell’editore; mini-sito (3%), ambiente web creato appositamente per il brand e comprendente sezioni diverse.

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