Gli impatti della situazione attuale su brand e comunicazione di marca

Intervista a Patrizia Musso, Direttore Scientifico di OBE, docente dell’Università Cattolica di Milano e Direttore di Brandforum.it.

Patrizia, cosa stai osservando nel mondo dei Brand in queste settimane? Come stanno reagendo alla situazione, cosa stanno facendo?

Il primo aspetto interessante è proprio che stanno facendo qualcosa. In un’epoca in cui si parla sempre di storytelling e c’è questa idea forte del comunicare, del raccontare, la sensazione è che forse davvero per la prima volta si vede come le aziende siano anche in grado di fare qualcosa; quindi non semplicemente raccontare delle storie ma realizzare iniziative concrete. Questo mi sembra il primo elemento evidente di una trasformazione in atto già nei mesi precedenti ma che sta esplodendo in questa situazione molto delicata e complessa che ha colpito oltretutto non solo il nostro paese ma tutto il mondo. Quindi primo aspetto: il doing.

C’è qualche iniziativa in particolare che ti ha colpito o una categoria di aziende che ha reagito più prontamente?

La mia sensazione è che si siano mossi subito diversi settori, quindi non ce n’è stato uno che ha predominato sull’altro. Si è mosso il food, il settore assicurativo, il settore farmaceutico, il settore tech. Probabilmente aspetto interessante è che si sono tutti mossi in modo coerente, ciascuno per la propria competenza e con la propria sensibilità. Per cui vediamo aziende dello stesso settore che hanno attivato iniziative anche diverse. Significativo è il fatto che ciascuno è riuscito a trovare un modo di operare trasparente, diretto e molto concreto.

Parlando invece degli impatti di questa situazione sulla pubblicità, cosa possiamo dire? Iniziano ad esserci ad esempio le prime notizie di marche che ritirano spot dove si vedono abbracci o baci

Questo riguarda un po’ una situazione di comunicazione di crisi. Mi ha riportato alla memoria un altro caso eclatante: quando c’era stato il crollo delle torri gemelle. Altro evento inimmaginabile, e anche lì mi ricordo come, non subito forse ma nell’arco del medio periodo, le aziende si erano rese conto della mutata sensibilità delle persone: rivedere le torri gemelle come location di un film o sfondo di uno spot o elemento di un cartellone pubblicitario, pur consapevoli che era magari un contenuto o un messaggio realizzato prima del crollo, creava comunque nelle persone un fastidio palpabile. C’era stata quindi all’epoca, mi ricordo, una sorta di cordata, partita dal cinema, che si è interrogata su cosa poter fare, se era giusto sostituire le immagini, bloccare l’uscita di questi contenuti o altro. La mia sensazione è che si stia replicando la stessa situazione oggi con l’emergenza coronavirus, per cui dove negli spot o in un messaggio di brand vediamo battute o location o situazioni con dimensioni di grossa socializzazione, c’è un po’ un fastidio dell’audience che poi si riflette sul brand, anche se a livelllo razionale si sa appunto che non c’è nessuna intenzione contingente. Quindi sì, credo ci sia la necessità di fare un minimo di intervento di restyling, se non anche magari di blocco di alcune campagne. E’ in questo momento anche una forma di rispetto per la nuova sensibilità che per forza di cose viene a crearsi.

Al di là del breve periodo quindi c’è anche un tema sociologico per i comunicatori di capire quale sarà la sensibilità futura delle persone, e l’atteggiamento mutato rispetto ad alcuni topic o stili di vita

Sì, io vedo già che stanno uscendo delle prime ricerche, anche di grossi istituti, per capire come stanno cambiando le percezioni, sia tra le diverse fasce di età, perché ogni generazione ha ovviamente una sensibilità diversa e un modo di reagire differente, ma anche più in generale. Mi ha colpito ad esempio la distinzione della sensibilità femminile rispetto a quella maschile su alcune dimensioni di comportamento e acquisto. Sembra ad esempio che le donne abbiano iniziato prima degli uomini a non andare più nei centri commerciali, prima ancora che ci fossero le restrizioni; non so se è un tema biologico forse, di protezione istintiva che il genere femminile ha e comprende anche a volte la capacità di “lasciar andare”, rispetto magari a un comportamento maschile più legato alla resistenza, alla forza, allo perpetrare lo status quo*. Fatto sta che ci saranno cambiamenti profondi della sensibilità con sfumature diverse legati all’età, al genere, ma non solo.
Un altro fenomeno sicuramente interessante riguarda la nostra relazione con il mondo digitale e con le tecnologie. In questo periodo ci stiamo abituando rapidamente a nuove abitudini di lavoro che in qualche modo, nel bene e nel male, manterremo anche quando questa situazione non esisterà più. A livello universitario, per esempio, nel giro di poco tempo abbiamo ribaltato completamente la didattica, le modalità di relazione con i nostri studenti e le modalità di lavoro con i colleghi.

E parlando proprio di relazione con il digitale e di nuove forme di interazioni, come vedi l’impatto sulla comunicazione interna?

Sicuramente questa situazione ha creato nuove dinamiche relazionali all’interno di un’azienda: utilizziamo tutti costantemente le tecnologie ma siamo comunque stati abituati, banalmente, alla riunione, alla gestione con il capo faccia a faccia. È quindi importante imparare a gestire in maniera ottimale gli strumenti a nostra disposizione per sopperire a queste mancanze. Altro aspetto rilevante emerso in queste prime “chiacchierate” con le aziende, che inevitabilmente si sono trovate a gestire la situazione, è il fatto di studiare nuove forme di intrattenimento per la comunicazione interna. Sicuramente il massiccio uso del digital (tra chat e video conferenze) in questa fase ha impatti diretti sulla dimensione funzionale del lavoro, ma ne produrrà anche a livello di contenuto, di servizio e di relazione. Il web quindi assumerà un peso centrale.

Quello dell’uso dell’entertainment anche a livello di comunicazione interna è inoltre un trend che come OBE stavamo già osservando negli ultimi tempi e che potrebbe ora subire una accelerazione con queste nuove modalità di relazione.
Aggiungo un’ultima considerazione sul digital: sta diventando ovviamente ora uno dei principali strumenti anche per l’acquisto di beni, di prima necessità e non solo. Durante questa settimana, ognuno di noi ha ricevuto messaggi o è stato esposto ad attività di brand noti che, davanti all’impossibilità di uscire di casa, suggerivano modalità di acquisto a distanza con consegne omaggio, servizi particolari e altro ancora. Nel giro di poco tempo ci siamo trovati quindi una serie di opportunità che prima non erano possibili. Questa nuova dimensione di servizio può essere vista come un benefit, un’attenzione, che, nel momento in cui si tornerà alla vita normale, i consumatori potrebbero voler mantenere nelle proprie abitudini nella vita di tutti i giorni, e i brand devono fare una riflessione attenta su questo aspetto.

 

*FONTE: https://www.primaonline.it/2020/03/13/303022/coronavirus-e-le-nostre-abitudini-un-italiano-su-10-verso-contenuti-pay-nuove-sfide-per-i-brad-e-chi-fa-comunicazione/

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