A Giffoni, Anna Vitiello ci ha parlato del branded entertainment come potente strumento di marketing e comunicazione per la Generazione Z.
Licensing Magazine ha incontrato il direttore scientifico dell’Osservatorio Branded Entertainment Anna Vitiello e raccolto i punti salienti del suo intervento durante il panel “Generazione Entertainment: il Branded Entertainment come leva di marketing e comunicazione per la Generazione Z”, tenutosi presso la Giffoni Innovation Hub il 26 luglio.
L’evento ha visto anche la partecipazione di Alessio Garbin (Data & Digital Marketing Coordinator per Barilla), Diego Daniele (Media & Connections Manager di Coca Cola) e Matteo Giarrizzo (Head of Digital & Media per Henkel).
Per prima cosa, Vitiello ci ha spiegato in dettaglio le attività dell’Osservatorio, un’associazione che studia e promuove la diffusione sul mercato italiano del branded content & entertainment come leva strategica per la comunicazione integrata di marca. L’Osservatorio, attivo dal 2013, è membro del network internazionale BCMA – Branded Content Marketing Association e raccoglie 73 associati, rivolgendosi ai principali operatori del mercato della comunicazione – brand, editori, concessionarie, centri media, agenzie creative e digitali, associazioni di categoria, nonché a soggetti pubblici e privati interessati a vario titolo al branded entertainment.
Vitiello ci ha fornito alcuni dati molto interessanti relativi al mercato italiano: sono 8 su 10 le aziende che hanno realizzato nel 2021 almeno un progetto di branded entertainment, il mercato tra il 2022 ed il 2021 è cresciuto del 9% e la stima del mercato italiano del settore ammonta a circa 619 milioni per il 2022.
I compiti principali dell’Osservatorio annoverano l’analisi delle tendenze di mercato tramite il monitoraggio dei progetti di branded entertainment, ricerche di approfondimento e tavoli di lavoro; l’organizzazione di corsi di formazione ed aggiornamento; la creazione e partecipazione ad eventi ed occasioni di networking e la promozione di buone pratiche per favorire la tutela degli stakeholder coinvolti nel mercato.
Vitiello ha aperto il suo intervento facendo chiarezza sulla definizione di branded entertainment, ovvero “un prodotto editoriale ideato, realizzato e finanziato da un brand”.
“La prima e fondamentale caratteristica che un progetto deve avere per essere considerato un [esempio di] branded entertainment è che sia un prodotto editoriale, [ovvero] che abbia un suo valore di intrattenimento intrinseco, che lo rende di interesse per un determinato audience. Il racconto sta in piedi da solo e ha una sua valenza di contenuto indipendente dal brand”, ha spiegato Vitiello.
Vitiello ha precisato come questo prodotto può essere “interamente originale e creato ex novo” per il committente oppure “integrato in un progetto comunicativo preesistente”. Il progetto deve poi essere necessariamente veicolato tramite piattaforme mediali e finalizzato a “intrattenere un pubblico-target.”
“Non è quindi un progetto che mira a colpire un target, come si dice in gergo prettamente adv [pubblicitario, ndr], ma è un progetto che deve essere in grado di attrarre un audience in modo coerente tanto con gli obiettivi del brand che con gli elementi caratteristici della piattaforma”, ha sottolineato l’esperta.
Il discorso è stato in seguito allargato al contesto mediatico corrente, il quale ha subito “una serie di modifiche strutturali nel corso degli ultimi decenni”. Tra queste figurano la moltiplicazione dei canali (“Solo parlando di TV, siamo passati da 7 canali a più di 200 e l’avvento del digitale ha aumentato ulteriormente il numero di canali distributivi, inteso in senso più ampio”), la frammentazione del pubblico (“La stessa copertura che un tempo si otteneva con 7 canali, oggi ne richiede circa 34”), la nascita di nuove modalità di fruizione ed il passaggio dal modello del palinsesto a quello dell’on-demand.
Quest’ultimo fenomeno non coinvolge unicamente le grandi piattaforme quali Netflix, Sky o Amazon Prime ma anche per altri player minori: “8 milioni di visualizzazioni a 24 ore dal rilascio delle prime sei puntate di Mare Fuori, 300.000 nuove iscrizioni alla piattaforma, 105 milioni di visualizzazioni al rilascio degli ultimi episodi. Questi non sono numeri di Netflix sono numeri di Rai Play. Oggi ognuno di noi sceglie non solo cosa guardare, ma anche quando e dove”.
Soffermandosi sulle tendenze che coinvolgono gli spettatori più giovani (inclusi quelli della Generazione Z), Vitiello ha citato il loro desiderio di essere in un mondo “adv free” (con un utilizzo sempre maggiore degli strumenti di ad-blocking) e, in parallelo, la crescita delle forme di abbonamento adv-free.
Il calo delle performance della pubblicità tradizionale, sostiene Vitiello, ha portato dunque al “potenziamento di una nuova forma di comunicazione, basata su una logica di contaminazione tra brand e contenuto”. Ci si aspetta perciò da un brand “più intrattenimento e meno informazione” oltre che “più integrazione e meno invasività ed interruzioni”.
“Stiamo passando da una logica di comunicazione push – faccio in modo che il mio messaggio colpisca un destinatario predeterminato – ad una logica pull – costruisco un contenuto interessante in grado di attrarre uno pubblico specifico. Questo passaggio cambia completamente la logica di costruzione del messaggio. Il contenuto della comunicazione non è più [basato su] quello che il brand vuole dire ma [su] quello che l’audience vuole sentire”, ha concluso Vitiello, aggiungendo come questo nuovo approccio comporti il passare “dal parlare ai consumatori” al “parlare dei consumatori” e quindi di “passioni, valori, bisogni e sogni.” Questo cambio di rotta genera, ritiene l’esperta, due “reazioni collegate:” la mimesis (ovvero l’immedesimazione) ed il coinvolgimento.
Articolo a cura di Davide Abbatescianni, pubblicato su Licensing Magazine Italia.